giovedì 12 giugno 2014

Dottoressa, sono grave? Ovvero: sulle consulenze “da bar”



 
 
Questo articolo è dedicato a tutte le persone della mia vita, dai pazienti agli sconosciuti al bar, che mi hanno raccontato le loro storie, nella speranza di comprenderle meglio, nello sforzo di dargli un senso, nella creatività di ricolorarle di nuove energie.


Con affetto, 
Maria Grazia Schembri



Alcuni colleghi raccontano che, in vacanza dove nessuno li conosce, mentono spudoratamente sul proprio lavoro, arrivando a dire di essere inoccupati, piuttosto di essere continuamente oggetto di richieste e quesiti ovunque si trovino, “visto che tu sei del mestiere/hai studiato psicologia/mi saprai dare sicuramente un consiglio utile”.


Non sono tra quelli: io amo la psicologia, sono ancora colpita da come abbia a che fare con tutti gli ambiti della vita, anche a quelli a me sconosciuti, e sono segretamente felice quando qualcuno vuole saperne di più su questa disciplina, e su come io la sto portando nel mondo. E’una sorta di orgoglio, simile a quello di una madre con il suo bimbo a spasso nel passeggino.
 

Consulenza “da bar”


Non si fa consulenza agli amici intimi. Quello si sa. Ma tutti quelli che invece “ci conoscono” e ci chiedono consiglio? E’ una cosa che succede a tutti i professionisti e credo che ognuno possa declinare la faccenda con le proprie caratteristiche. Io scriverò per me e riferendomi, nello specifico, alle professioni di aiuto, in particolare di chi si occupa di psicologia e/o di counseling.

 

Cosa succede, dunque? A volte, con l’illusione di parlare con una persona conosciuta, anche da poco ma che magari ci ispira fiducia, si pensa di ricevere del beneficio per un problema piccolo o grande, che non è mai un nonnulla. Se così fosse, ne avremmo già dipanato la matassa da soli.


In realtà, questa pratica di chiedere “un piccolo consiglio” fuori da una cornice di consulenza, “pasticcia” le storie personali e non permette di trovare vere soluzioni trasformative.



Ora cercherò di spiegarvi il perchè, partendo dalla mia esperienza.



Cosa succede quando attendo in studio un cliente?


Altri colleghi hanno le loro ritualità. Io personalmente cerco di “sintonizzarmi” con la persona che dovrò vedere. Sintonizzarmi significa, per me, immaginarmi fuori dalla sua casa (reale o come luogo dell’anima) e sapere che dovrò entrare piano, in punta di piedi, magari con un sorriso.



Dovrò  mettere tra parentesi tutto ciò che sono io, per mettermi nell’ascolto dell’altro: via dai pensieri la conferenza da preparare, il gatto dal veterinario, le violente ribellioni di mia figlia adolescente.



Dovrò essere pronta ad accogliere qualsiasi emozione, qualsiasi sentimento, qualsiasi evento, anche il più drammatico, qualsiasi storia, anche la più dolorosa. E lo dovrò fare a cervello acceso, a sensi allertati, con cuore grande e grande spirito di servizio.



Ed energia, la mia energia vitale.



Nella “casa” del mio cliente.

Lì dentro, in quella casa, troverò la storia dei suoi problemi, che è venuto a raccontarmi perchè ciò gli crea un disagio, piccolo o grande; lì dentro dovrò aiutarlo a trovare la sua soluzione, unica e probabilmente irripetibile fuori da quel contesto.



La “telecamera”

Come l’antidoto deriva dal veleno, la soluzione risiede nel racconto del problema. Ed io sono lì per ascoltarlo. Questo assetto non abituale richiede l’accendere in me delle “telecamere speciali”, sensibili non solo alla comprensione delle parole, ma ai movimenti impercettibili, ai sospiri, agli occhi...  E’ richiesto l’ascolto su un piano personale che è simile all’aprire la propria natura profonda all’altro, farlo accomodare nel salotto della nostra anima con tutto ciò che potrà portarci. Sapendo che a volte potremo aiutarlo, a volte no, a volte rimarremo soddisfatti dall’interazione, a volte feriti o delusi. A volte potremmo avanzare, a volte fermarci o addirittura ritirarci, umilmente.



Preparazione

E’ uno sforzo di coscienza enorme, il sospendere le proprie idee, i propri giudizi e le proprie naturali categorizzazioni, dopo “aver visto” e ascoltato ciò che il paziente ci porta. Perchè l’evoluzione degli esseri umani è basata sulla semplificazione di passaggi consolidati. Questi stessi passaggi “ristretti” però, nel momento di trasformazione devono necessariamente tornare ad “espandersi” per rimodellarsi su altri principi. A volte è un passaggio relativamente rapido, a volte richiede una ristrutturazione più profonda. In nessun caso è facile.

L’assetto


Queste due componenti, la telecamera e la preparazione cosciente  è ciò che io chiamo assetto: in questa parola magica risiede la differenza di me in ascolto “da bar” o invece in modalità di consulenza.



Questo lavoro, che per me è meraviglioso, richiede tempo e spazio mentale per elaborare strategie e faccende personali che emergono e che serviranno a formare il proprio bagaglio di esperienza. E’ un lavoro di anima e cervello che spesso non si capiscono, ma insieme devono cercare di aiutare chi si rivolge al consulente o allo psicologo.



Questo passaggio richiede una certa dose di energia vitale, che decido di mettere a servizio del mio lavoro dietro compenso. Ripeto: dietro compenso. Perchè è un lavoro, non un hobby.


Quanto costa?

Perciò ora mi toccherà parlare anche di questo: il compenso. La faccenda del compenso è delicata, ma più per il paziente che per me. Può essere un piccolo o grande corrispettivo e ciò dipende dalla prestazione erogata. L’importante è che da parte del cliente ci sia sempre l’assunzione esplicita di un impegno, anche economico, che dica chiaramente alla persona che ha “comprato” il tempo, l’esperienza e le competenze di un professionista.



Dottoressa sono grave?



Ora parlerò in forma diretta. A te, si proprio a te che sei arrivat* a questo punto dell’articolo e ti stai domandando: ma questa consulenza psicologica, farà a caso mio?



Quando hai un problema che sospetti possa necessitare di consulto con un professionista della psicologia cerca di capire quanto stai male. Fatti una scaletta personale da 0 a 5. Se “ci stai dentro” in qualche modo, vai tranquillo: non hai nessun bisogno di me. Se invece senti di non sopportare più la situazione nella quale ti sei infilato, è tempo di chiedere aiuto, rapidamente e con coscienza.

 

Se, in riferimento alla scala 0-5, riesci ad intuire che a livello 2 potresti non farcela, chiedi aiuto tempestivamente: a volte il coraggio di prendere appuntamento è già estremamente trasformativo e può rendere la ricerca della tua soluzione più rapida, più personale, perciò complessivamente più efficace.


Anche se il problema è pressante, devi concederti del tempo per la tua personale elaborazione. Non puoi pretendere che le situazioni cambino se continuerai a fare sempre le stesse cose.


E’ necessario comprendere che non esiste la bacchetta magica e che il professionista a cui ti rivolgi deve godere della tua fiducia: fagli tutte le domande che ti vengono in mente e senti se ciò che ti dice “risuona” con te. Non tutti gli psicologi / counselor sono fatti per tutti i pazienti. L’alchimia trasformativa ha una parte ineffabile che passa attraverso i sensi. E’ come essere innamorati: se c’è feeling, se “fa click” puoi saperlo solo tu, quindi fidati delle tue sensazioni.

Come per ogni prestazione sanitaria, il risultato non può essere “garantito” per l’enorme quantità di variabili che possono intervenire: perciò anche se il risultato non dovesse rispondere appieno alle tue aspettative, fai in modo che il tempo passato con il consulente / psicologo che sceglierai sia quantomeno piacevole.


Ultime note
Come ultima, una nota tecnica. Personalmente lavoro con il sostegno psicologico, non lavoro con la patologia nè psicologica nè psichiatrica: non formulo diagnosi, non emetto prognosi e non prescrivo cure. Lavoro con le persone “normali” che si trovano ad affrontare problemi esistenziali, anche piuttosto duri, per i quali hanno necessità di un confronto con un professionista che non sia l’amico di buon cuore, il fratello affettuoso, il prete attento.



Per patologia si intende: quando fai uso smodato di droga, di alcool, se sei in depressione diagnosticata o in anoressia conclamata, hai disturbi dell’attenzione, di personalità, dell’umore ecc.



Se hai questa o altre patologie citate nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (il “famoso” DSM5), il mio unico lavoro, con te, potrebbe essere il farti prendere coscienza dell’urgenza di consultare un collega specialista nella tua patologia.



Sembra infine scontato dirlo, ma tutto ciò che emerge in un colloquio di consulenza psicologica, se praticato da un professionista iscritto all’Albo degli Psicologi e Psicoterapeuti, è protetto dal segreto professionale.

Maria Grazia Schembri
Dottoressa in Psicologia
Counselor e Mediatrice di Conflitti
338 1873210 - mg.schembri@famigliando.it

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