domenica 27 ottobre 2013

L'Arciere che c'è in Te


Un giorno, riflettendo su quanto io e la collega Tina Dolif facevamo per onorare questa meravigliosa disciplina, scrissi questo: 

è l'Arciere che c'è in Te che guida il tuo destino, 
che tu ne sia consapevole o meno.

Il guardare un arciere tirare le sue frecce mi mette in contatto con la mia anima antica, con l’eleganza e la crudeltà, con la vittoria e con la sconfitta, con il maschile e il femminile, con la lotta e con la pace.  

Guardo l’arciere che si appresta a tirare e vedo in lui lo sportivo di oggi, ma anche l’uomo primitivo di un tempo, astuto e rispettoso, lo vedo inseguire per giorni la preda, solo o con i suoi compagni, nel caldo afoso delle savane o nel freddo gelido delle foreste del nord America.


Lo vedo combattere per la sua famiglia, per la sua comunità, per la sopravvivenza del genere umano. Lo osservo in piazzola, durante le gare, lo ascolto in pausa, davanti ad un piatto di polenta, lo guardo ridere, lo ammiro mentre si prepara ad una gara, con i suoi piccoli rituali.
Tutto il senso della vita è in quel gesto, quando posso guardarlo. E io sono lì, sono lì come una donna della tribù che guarda i cacciatori o i guerrieri che tornano al campo, li rinfocilla, ne ascolta le storie, ne raccoglie le paure, ne cura le ferite.

Mi approccio al tiro con l’arco come fa un critico d’arte con le tele più preziose: con rispetto, quasi con devozione, con la certezza di scoprire sempre, con una nuova luce, particolari della Vita che, in altri luoghi e in altri tempi, mi erano sfuggiti.

L’arcieria, praticata in questa forma, ci propone simboli arcaici che non faticano ad entrare in sintonia con l'Uomo-Arciere, completamente immerso in una situazione venatoria, seppur simulata, con l’utilizzo di armi antiche.

"E' la freccia che parla dell’arciere”, mi ha confidato un giorno un amico istruttore.
Io ascolto quella voce.   Ed ascolto anche la voce dell’arciere, se si rivolge proprio a me dopo le sue fatiche, con l’onore e la grazia che si riserverebbe ad un ospite importante nella propria casa.

Poi la faretra che è, per un arciere, l’involucro delle armi più micidiali; ma è anche lo stesso contenitore che si utilizza per riportare a casa le frecce inutilizzabili, prima di poterle riaffilare, prima di pensare in quale modo ripararle o per valutare con calma e a volte con nostalgia, di sostituirle.

Nel lavoro con gli arcieri, Tina ed io aiutiamo semplicemente a “contenere frecce” finché sia giunto il momento, per chi lo desidera, di poterle guardare una per una, con pazienza, per chiedersi: Mi servono ancora? Ne devo aggiungere altre? Come dovranno essere? Posso riparare quelle rovinate? In quale modo? Ne vale la pena? 
Ogni arciere si fa costantemente queste domande, quando guarda con attenzione la sua faretra, quasi sempre in solitudine. E le sue scelte, di solito, sono facili e precise perché sa esattamente come mai quella freccia non ha retto l’impatto . 

Ma può arrivare un tempo in cui qualcosa “non torna” o si ha la sensazione che si continui a costruire frecce che si rompono sempre nello stesso modo… Come tutti gli esseri umani, creature essenzialmente sociali, l’arciere può sentire, a un certo punto, l’esigenza di un confronto con un compagno di viaggio, scelto tra i tanti .  A volte ho l’onore di essere io, quel compagno di viaggio.

Il prendermi cura delle “frecce” dell’altro e proteggere con la riservatezza le sue riflessioni, le emozioni e gli stati d’animo che emergono è l’oggetto della mia costante, inesauribile ricerca personale e professionale, non solo in ambito arcieristico.

Anche il linguaggio tecnico utilizzato risulta essere metafora delle situazioni reali della vita: dal “fare centro” al soffrire da “panico da bersaglio” ci offrono spunti per pensare a tematiche come identità, motivazioni, apprendimenti, etica ed estetica, non per offrire risposte, ma per ispirare domande.

La ricerca di “sintonia con il flusso” è altresì utilizzato come metodo per entrare in contatto con la Natura e con l’Uomo, dove tutto è in accordo con il presente e con il passato, con il visibile e l’invisibile, con il nostro intimo e con coloro fuori-da-noi dove un piccolo, piccolissimo passo, può generare una grande trasformazione.

Il tiro con l'arco è, per me, metafora magica, rigenerazione, contatto con la natura, costruzione personale, filosofia del vivere e psicologia applicata. E' Amare.

Un giorno, riflettendo su quanto io e la collega Tina Dolif facevamo, per onorare questa meravigliosa disciplina, scrissi questo: 

è l'Arciere che c'è in Te che guida il tuo destino, 
che tu ne sia consapevole o meno. 


Maria Grazia Schembri
Dottore in Psicologia
Counselor e Mediatrice di Conflitti

Cell 338 1873210
e-mail info@famigliando.it

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